Abbiamo scelto di cominciare a conoscere la regione Friuli Venezia Giulia partendo da uno dei suoi luoghi simbolo: la Diga del Vajont. Sapevamo che era il luogo in cui è avvenuto un disastro che ha coinvolto migliaia di persone, ma non credevamo che ci saremmo resi conto di cosa è successo in modo così realistico. E’ stata un’esperienza dolorosa, tanti particolari che abbiamo osservato ci hanno raccontato la vita e la morte di quelle persone. Ma andarci è non dimenticare e onorare chi è stato vittima di un tale disastro.

Diga del Vajont
Diga del Vajont
Fu progettata dall’ingegner Carlo Semenza e costruita tra il 1958 e il 1961 nel territorio di Erto e Casso (in provincia di Pordenone) per soddisfare il crescente bisogno di energia elettrica della zona. Era la più alta del mondo (261,60 m.) e aveva un bacino di oltre 50 milioni di metri cubi d’acqua.
Durante la progettazione si tenne in considerazione la natura calcarea del terreno, ma non le frane che stavano già avvenendo sul fianco del monte Toc.
Nel 1959 durante la costruzione della diga avvenne una prima frana di tre milioni di metri cubi di roccia e detriti. Nel 1960 800.000 metri cubi di terra franarono dal monte Toc alla diga che fortunatamente aveva un livello che permise di contenere l’onda che si formò.
I lavori terminarono nell’ottobre 1961. Durante i successivi collaudi l’invaso fu riempito a un livello mai raggiunto prima, seguito da un lento svuotamento. Nel frattempo il monte Toc aveva ricominciato a franare.
Alla fine del 1962 la diga divenne di proprietà dello Stato Italiano.
Il disastro del 9 ottobre 1963




Il fianco del monte Toc da dove si staccò la frana
Il giorno 8 ottobre 1963 gli strumenti di rilevazione mostrarono che il versante del Monte Toc si era mosso in poche ore di più di mezzo metro, e quindi si decise di svuotare ancora più rapidamente il lago. Il rapido svuotamento del lago diventa uno dei fattori scatenanti della frana per la variazione di pressione sul monte. La sera del 9 ottobre 1963, una frana di 270 milioni di metri cubi si staccò dal monte Toc e si riversò nella diga. La massa d’acqua che si sollevò superava i 200 metri di altezza.
Casso
Pur sorgendo a 900 metri di altezza, il paese di Casso fu sfiorato dalla prima onda che si formò dopo la frana, ma non si registrarono vittime.




Casso
E’ stato posto un crocefisso nel punto in cui si è fermata l’acqua all’inizio dell’abitato.




Casso
Erto
L’onda si diresse anche verso Erto. Ci furono 350 vittime nelle sue frazioni. Oggi Erto è costituito da una zona nuova e moderna e dalla vecchia Erto che racconta il disastro che è avvenuto. I tetti in legno crollati, le finestre sprangate, le rare case abitate con i geranei alle finestre ci fanno rimanere in silenzio ad immaginare quando il monte Toc ha bussato quella notte alla porta di quella povera gente.




Erto
Longarone
La seconda onda si diresse a valle a una velocità di 80 km/l’ora. A Longarone, la gente, dopo una giornata di lavoro, era al bar a guardare la partita. I bambini erano a letto. In pochi minuti arrivò l’onda alta 12 metri che distrusse tutto quello che trovava lungo il suo percorso. I morti furono 1450.
La visita alla diga del Vajont
Noi abbiamo osservato la diga e visitato i paesi di Erto e Casso. E’ possibile effettuare delle visite guidate della diga a pagamento. Delle bandierine riportano il nome e l’età dei bambini e dei ragazzi morti nel disastro e di quelli che non sarebbero mai nati. Ho scelto di non fotografarle, sono un pugno nello stomaco. Tutto era davanti ai nostri occhi: il monte Toc con il fianco da dove si è staccata la frana, la diga, le case abbandonate o sventrate. E’ stato naturale immaginare quelle vite spezzate, la loro quotidianità, la loro innocenza e provare un dolore immenso. Credo che quelli che hanno causato tutto questo non meritino la nostra rabbia, ma sicuramente tutte le quasi 2000 vittime di una diga che non è mai entrata in funzione e di un disastro prevedibile, meritino giustizia. Pagina ufficiale del Comune di Longarone: premi qui.
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